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8 settembre 2023

LA GENESI OLIMPICA DI UN'AMICIZIA: QUELLA VOLTA IN CUI DAEHLIE ASPETTO' 20 MINUTI PER ABBRACCIARE UN ATLETA DEL KENYA

Ci sono modi diversi di scrivere la storia, soprattutto in ambito sportivo. Ci sono racconti di atleti che fanno parte degli annali e narrano di vittorie, trionfi, medaglie ed imprese e poi ci sono , dall'altro lato, storie di uomini. Storie di vita e di trascorsi che pur non trattando di coppe e medaglie sono capaci di ritagliarsi uno spazio importante nei ricordi di chi ama lo sport. Per certi versi, quella di Bjorn Daehlie e Philip Boit è una storia che mette insieme entrambi gli aspetti, legando una leggenda dello sci di fondo con una toccante storia di vita e di amicizia. Tutto parte da Nagano 1998.

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Da sinistra Bjorn Daehlie e Philip Boit dopo la 10 km dei Giochi Olimpici di Nagano 1998. Fonte foto: Olympics.com

L'ULTIMO SQUILLO DI DAEHLIE - Siamo a Nagano, Giappone, per quella che è la XVIII edizione dei Giochi Olimpici Invernali. Per Bjorn Daehlie, fenomeno norvegese incontrastato, si tratta della 3° Olimpiade dopo quelle di Albertville 1992 e Lillehammer 1994, dove aveva già messo in fila 5 ori e 3 argenti tra competizioni individuali e format di squadra. Quella di Nagano per Daehlie rappresenta l'ultima Olimpiade, che chiuderà vincendo 3 medaglie d'oro nella 10 chilometri, nella 50 e nella staffetta e una d'argento nell'inseguimento. Un ultimo grande acuto prima del ritiro del norvegese. Ma non saranno solo le medaglie a rendere speciale quella manifestazione.

IL PRIMO AFRICANO ALLE OLIMPIADI INVERNALI - Mentre il norvegese si prepara per l'Olimpiade e continua a collezionare successi, dall'altra parte del mondo un ventisettenne si appresta a scrivere un'importante pagina degli sport invernali. Si tratta di Philip Boit, un kenyota di quattro anni più giovane di Daehlie, che coltiva la passione per lo sci di fondo. Boit è originario della Rift Valley, un luogo caldo e arido situato nella zona orientale dell'Africa,  ben lontano dalle piste battute della Scandinavia, dove la parola "neve" non trova spazio nel dizionario comune. Non trova spazio, se non nei sogni di Philip Boit, che accarezza il desiderio di sciare e di farlo con in dosso i colori della propria nazione. Così, nel 1996, Boit inizia ad allenarsi e per farlo lascia il Kenya approdando in Finlandia a Lahti, dove per la prima volta mette gli sci da fondo lanciandosi in un sogno impossibile: diventare il primo africano a partecipare ai Giochi Olimpici Invernali. Un sogno che Philip coltiva grazie a suo zio Mike Boit, bronzo olimpico a Monaco 1972 nell'atletica, in particolare nella specialità degli 800 metri in pista.

L'EPISODIO DI NAGANO - Nel 1998, il kenyota riesce sorprendentemente a strappare la qualificazione per la rassegna di Nagano - a cui partecipa come unico africano e portabandiera del Kenya - ed è proprio lì che le storie di Daehlie e Boit si intrecciano per la prima volta. Il 12 febbraio va in scena la 10 chilometri in tecnica classica, valevole per l'assegnazione del titolo olimpico. Bjorn Daehlie domina la gara e chiude al primo posto portandosi a casa il sesto oro olimpico della sua carriera, davanti all'austriaco Markus Gandler e al finlandese Mika Myllylae. Passati ormai diversi minuti, ecco che la direzione di gara chiama gli atleti per dirigersi verso la zona dedicata alla premiazione, ma Daehlie non c'è. Ha chiesto di ritardare la cerimonia e si è fermato ad aspettare sul traguardo l'ultimo atleta in gara, che ancora lotta per concludere la sua fatica, ostacolato dalla pioggia insistente che - se il percorso non fosse già abbastanza probante - accentua ulteriormente le difficoltà. L'ultimo atleta in gara è proprio Philip Boit, che chiude la sua fatica con un distacco di 20 minuti ed 1 secondo dal primatista norvegese. E' 92° su 92, ma la folla lo acclama: "Stavano gridando ‘Forza Kenya! Forza Philip!’, è stato come vincere una medaglia anche se ero l'ultimo" ha dichiarato in seguito Boit alla BBC. Tagliato il traguardo, Daehlie lo accoglie con un abbraccio ed una pacca sulla spalla, che per l'atleta africano valgono più di qualsiasi medaglia. Un gesto che Boit non dimenticherà mai.

UNA GRANDE AMICIZIA - Quell'episodio, che tanto ha significato per Boit, ha lasciato il segno anche nel cuore di Daehlie che in seguito ha raccontato: "Meritava di essere incoraggiato. È stata dura per lui, ma non si è mai arreso". Parole che celebrano l'enorme forza di volontà del kenyota, partito dalla Rift Valley per sfilare sulla passerella olimpica, senza ambizioni, ma spinto da grande passione e determinazione. Il gesto di Daehlie non è solo un episodio da ricordare, ma il preludio di una grande amicizia. Un gesto che segnò nel profondo la vita di Boit, tanto che qualche settimana dopo - divenuto papà - scelse di dare a suo figlio il nome del fondista che tanto ammirava e che quel giorno a Nagano era sceso dal piedistallo per abbracciarlo sul traguardo. Chiamò così suo figlio "Daehlie Boit", un nome che sicuramente può suonare ambiguo vista la provenienza geografica antitetica dei due appellativi, ma che racchiude in sé una fantastica storia di sport e riconoscenza. "Il mio allenatore mi aveva parlato di lui - le parole di Boit - e l'avevo visto in televisione, ma non potevo credere che fosse questa bella persona".

 

LO SKI SUPERMARKET - Negli anni a venire, Boit ha continuato ad allenarsi, partecipando ancora alle Olimpiadi di Salt Lake City 2002 e di Torino 2006. Ironia della sorte, la sua carriera si è poi conclusa nel 2011 ai Mondiali di Oslo, in Norvegia, patria del suo illustre amico. Nel corso del tempo, Daehlie e Boit hanno continuato a tenersi in contatto e nel 2013 hanno partecipato insieme alla Birkebeinerennet, una classica norvegese di 54 chilometri che parte da Rena e si conclude a Lillehammer. Ebbene, oggi Philip Boit continua a vivere nella Rift Valley, in un paesino vicino alla città di Eldoret. Se mai doveste capitare da quelle parti, chiedete dello Skier Supermarket, un piccolo negozietto che di "Skier" ha ben poco visto che vende generi alimentari. Vi accoglierà un certo Boit, che gestisce il negozio con la sua famiglia, sfoggiando il suo proverbiale sorriso da sognatore.

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